La riforma dell'Italia e la riforma della scuola_Marzo 2014
LA RIFORMA DELL’ITALIA
E
LA RIFORMA DELLA SCUOLA
Finalmente, dopo più di dieci anni, in Italia si sta parlando di una riforma radicale del sistema-paese; mettere insieme fine del bicameralismo perfetto, riforma del TitoloV, abrogazione delle province, riforma elettorale significa ridisegnare completamente il sistema di produzione legislativa, il sistema di formazione della maggioranza di governo e di funzionamento del governo stesso, il sistema amministrativo pubblico al centro e in periferia.
C’è la percezione di un cambiamento: molti sono a favore, tanti remano contro, le anime belle si rifugiano nell’empireo dei massimi sistemi o delle questioni di principio per non dover prendere atto che la realtà può essere cambiata e bisogna quindi fare delle scelte.
Va detto che la macchina si è appena rimessa in moto dopo quasi 15 anni di stallo, anzi di involuzione, perché un tentativo corposo di riforma di sistema c’era stato, dal 1997 al 2001; il tentativo era iniziato bene con la Legge 59/1997 ed era terminato male con la Riforma del Titolo V del 2001, per poi impantanarsi definitivamente negli anni successivi; gli interessi politici erano diversi, le priorità man mano sono diventate altre, l’unica Istituzione che ha lavorato a pieno regime è stata la Corte Costituzionale, per non parlare dei TAR.
Dobbiamo ricordare che con la legge 59/1997 viene ridisegnato l’impianto della Pubblica Amministrazione in Italia, superando il centralismo post-unitario e l’invasività della politica; l’autonomia scolastica è un “pezzo” di questa riforma ad ampio spettro.
La Legge 59/1997 si ispira al principio di sussidiarietà, coniugato secondo due dimensioni fondamentali:
- la “sussidiarietà verticale”, citata nel primo e nel quarto articolo della Legge: i compiti e le funzioni amministrative vanno decentrate dal vertice alla periferia, alla struttura territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati alla prestazione del servizio; la gestione di un servizio passa così dallo Stato alle Regioni o agli EE.LL.
- la “sussidiarietà orizzontale”: il trasferimento delle competenze si attua non solo dall’alto verso il basso, ma anche in orizzontale, passando la gestione di un servizio da un Ente politico generalista (Stato, Regioni o EE.LL) ad una “entità ad hoc”, più o meno autonoma dall’Ente generalista che le ha affidato la gestione servizio.
Nel sistema di istruzione e formazione, l’autonomia scolastica è il frutto più importante di questa iniziativa riformista, è frutto di ambedue i tipi di sussidiarietà, dal centro alla periferia, dallo Stato agli EE.LL., dall’ Ente Generalista all’Istituzione Scolastica Autonoma.
A livello amministrativo, l’Amministrazione centrale del MIUR perde ogni funzione amministrativa, decentrata agli USR e alle scuole autonome; le funzioni di supporto alle autonomie scolastiche vengono assegnate alle Regioni, alle Province e ai Comuni (D. Lgs 112/1998), alle Regioni viene affidata la funzione fondamentale della definizione della rete scolastica sul territorio.
Il sistema di istruzione e formazione diventa un sistema complesso, a quattro facce: le competenze sono della Scuola, dello Stato, delle Regioni e degli EE.LL.; se la scuola è un’istituzione complessa, il sistema in cui è inserita è forse ancora più complesso.
Nel 2001 si tenta il passo definitivo, in sostanziale continuità con la Legge 59/1997: il salto dal livello della legislazione ordinaria a quello costituzionale, con la riforma del Titolo V della Costituzione, non per niente definita “Riforma Federalista dello Stato”.
Con la Riforma Costituzionale, si passa da uno Stato fortemente centralista ad un assetto che si potrebbe definire di “Repubblica Arcipelago”, dove Stato, Regioni, Province/Città Metropolitane e Comuni hanno pari dignità costituzionale, come sancito dall’art.114.
Di conseguenza, le competenze vengono redistribuite, anche nel campo della scuola, ben oltre quanto stabilito dal D. Lgs 112/1998; per la scuola, è fondamentale l’assunzione dell’autonomia scolastica al rango di principio costituzionale.
Una Riforma Costituzionale diventa però una grida manzoniana se non si trasforma in legislazione ordinaria; dopo quasi quindici anni, possiamo dire che così è stato, in generale e per la scuola.
Arriviamo così all’oggi; nella prima bozza di riforma del Titolo V presentata in conferenza stampa dal Presidente del Consiglio, per quanto riguarda le tematiche della scuola viene mantenuto l’impianto della Riforma del 2001; ci torneremo in modo analitico in seguito, qui basti evidenziare le novità principali:
- vengono abolite le Province, con inevitabili ricadute sull’Amministrazione statale periferica, a cominciare dal MIUR, che è ancora organizzato intorno ai vecchi Provveditorati
- viene abolita la legislazione concorrente, che è stata la fonte maggiore di confusione e contenzioso davanti alla Corte negli ultimi anni.
Fondamentale per la scuola è che venga mantenuta la clausola di salvaguardia dell’autonomia scolastica rispetto alla legislazione regionale e, implicitamente, anche rispetto alla legislazione statale.
Abbiamo detto: dopo quasi quindici anni di stallo, o per meglio dire di “confusione elevata a sistema”, oggi si tenta di ripartire; ma per andare dove? Quale potrebbe essere l’assetto ottimale del sistema di istruzione e formazione?
Per noi non ci sono dubbi: il centro del sistema di istruzione e formazione deve essere l’autonomia scolastica, appena ri-valorizzata nella bozza di Riforma Costituzionale.
E’ chiaro che parliamo di un’autonomia scolastica non asfittica quale è stata fino oggi, un’autonomia didattica e funzionale destinata ad annegare in un mare di burocrazia e di conflitti di competenze, dove per di più l’unica cosa sicura sono i tagli lineari che ormai rendono semplicemente ingestibili le scuole.
Alla fin fine, nella ridefinizione del sistema di istruzione e formazione (E non solo…), gli scenari possibili sono tre: uno neocentralista, uno a forte impronta regionalista/localistica, uno a forte connotazione autonomista.
Il neocentralismo
Le resistenze neocentraliste negli ultimi 15 anni sono state particolarmente e sono oggi diventate forse maggioritarie, vista la pessima prova di sé che hanno fornito le Regioni negli ultimi due anni; è forte la tentazione di togliere poteri alle regioni, per ridarli allo Stato.
Per il sistema di istruzione e formazione, significherebbe ricadere nelle grinfie del MIUR…Il neo-centralismo non ci piace, attenti a non buttar via il bambino con l’acqua sporca!
Il regionalismo/localismo
Se il regionalismo è in crisi dopo essere stato molto in auge, se le province sono in via di soppressione, gli unici enti locali che vanno per la maggiore sono i Comuni, anche a seguito dell’impulso di immagine che sta dando loro Matteo Renzi.
Si può andare verso una forma di localismo, centrato sui Comuni? Questa tendenza mira a ridurre al massimo le competenze dello Stato a favore delle Regioni e/o degli EE.LL, in varie forme.
Non si tratta di idee peregrine, al punto che, per quanto riguarda la scuola, in Italia questa tendenza è già una realtà nella provincia autonoma di Trento, mentre in Sicilia vige una specie di sistema misto, in applicazione dello statuto autonomistico.
I risultati molto diversi di queste due esperienze non depongono a favore di un sistema “localistico” che dovrebbe assicurare la piena fruizione di un diritto fondamentale su tutto il territorio nazionale; comunque, anche questa tendenza non può essere considerata pienamente autonomista, perché comporta il rischio di un centralismo regionale anche peggiore di quello statale.
L’autonomia come principio di sistema
Per quanto riguarda la scuola, la nostra posizione si basa sulla valorizzazione degli spazi di autonomia funzionale, onde evitare …un decentramento del centralismo!
Se si assumono questi principi, vanno rifiutate non solo le impostazioni neocentralistiche di tipo classico, cioè quelle stataliste, ma anche le posizioni che affidano alle Regioni e agli EE.LL. un ruolo più o meno preponderante sia in campo legislativo che amministrativo nella gestione del sistema di istruzione e formazione.
L’impostazione autonomistica si basa su alcuni principi :
-lo Stato fissa per via legislativa solo norme e/o principi generali, in modo da definire norme fondamentali uguali su tutto il territorio nazionale e da assicurare a tutti i cittadini i livelli essenziali di fruizione dei diritti costituzionalmente tutelati
-le Regioni determinano a livello legislativo l’assetto dei servizi nei rispettivi territori
-i Comuni svolgono la funzione di “Enti Committenti”
-le competenze amministrative e gestionali vengono affidate ad agenzie/enti ad hoc (autonomie funzionali), in raccordo con gli EE.LL.
-vanno istituiti Enti di controllo e valutazione autonomi, onde evitare sprechi ed inefficienze.
Se si accettano questi principi, l’autonomia scolastica deve essere a fondamento di qualsiasi assetto gestionale ed amministrativo che il servizio di istruzione possa assumere i Italia.
Sembra inoppugnabile, inoltre, che la logica conseguenza dell’abrogazione delle Province sia l’eliminazione dell’Amministrazione periferica del MIUR; dipenderà dal nuovo assetto del Titolo V l’opportunità o meno di mantenere uno livello regionale molto snello, in ogni caso senza funzioni amministrative e gestionali.
Le funzioni amministrative e gestionali vanno attribuite invece ad un’espansione dell’autonomia scolastica a livello territoriale, attribuendo a questa “espansione territoriale” la gestione dei sistemi di supporto che la legge 59/1997 suddivide tra gli Uffici periferici del MIUR, le Regioni e gli EE.LL.
Queste espansioni territoriali dell’autonomia di carattere amministrativo-gestionale dovrebbero operare istituzionalmente in stretto raccordo con lo Stato, gli EE.LL e le Regioni in un regime di committenza, essere una loro interfaccia, salvaguardando le loro prerogative, secondo le diverse competenze previste dalla Costituzione.
La struttura amministrativa da noi indicata servirebbe anche a tutelare al meglio i principi contenuti nella prima parte della Costituzione, in merito alla libertà di ricerca e di insegnamento, e a salvaguardare la prerogativa statale di indicare i livelli essenziali di fruizione del diritto all’istruzione.
Naturalmente dovrebbe essere istituito anche un vero sistema di valutazione, indipendente ed efficiente.
Che forma giuridico-istituzionale dare a questa “espansione territoriale dell’autonomia”?
Esiste già da tempo un associazionismo delle scuole, andrebbe per prima cosa istituzionalizzato, creando anche una struttura amministrativa di supporto che assicuri una gestione efficiente delle risorse e sia in grado di interloquire con tutti i referenti istituzionali e con il territorio nella definizione della domanda formativa, una struttura che non può non collocarsi a livello regionale.
Potrà sembrare strano, ma questo oggetto misterioso esiste già nell’ordinamento, anche se solo sulla carta, sin dal 1999; la legge 59/1997 e il conseguente D.Lgs. 300/99 hanno infatti introdotto il modello organizzativo dell’Agenzia (Art.8 del D.Lgs 300/99), una struttura autonoma che svolge un’attività di carattere tecnico-operativo precedentemente esercitata direttamente dal Ministero : è un’ autonomia funzionale.
Perché non riprendere in forma adeguata all’oggi l’ “Agenzia per la formazione e l'istruzione professionale”, di cui Bassanini parlava 15 anni fa (D.Lgs 300/1999, art. 88)? Perché non pensare ad un’Agenzia di Gestione del sistema di istruzione e formazione che sia autonoma anche se incardinata nell’Amministrazione statale, riservando allo Stato, alle Regioni e agli EE.LL., a seconda delle diverse competenze, le funzioni di indirizzo, di controllo, di valutazione e di potere sostitutivo in caso di inadempienza?
Qualcosa era stato timidamente adombrato nell’art.50 della Legge 35/2012, ma naturalmente tutto è finito nel nulla; speriamo che la Riforma del Titolo V sia l’occasione anche per ripensare il sistema di istruzione e formazione.
Molto importante in un periodo di spending review: la nostra proposta è a costo zero, può anzi dar luogo a notevoli risparmi.