ME NE ANDAVO, PER CASO…

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ME NE ANDAVO, PER CASO…

di

GIUSEPPE ALESI

“ Non si vive di solo presente” Duccio Demetrio 

“Ibam forte via Sacra, sicut meus est mos, nescio quid meditans nugarum, totus in illis…” è l'inizio della famosissima satira 1/9 di Orazio: “Me ne andavo, per caso lungo la via Sacra, come mio solito, assorto integralmente in non so quali sciocchezze.” La serena passeggiata viene improvvisamente interrotta da un scocciatore, inopportuno e petulante, parte da lì una narrazione di un evento accaduto nel foro di Roma duemila anni fa.

Un racconto, una satira, un serrato dialogo con un garrulus, un chiacchierone da cui il poeta non riesce in alcun modo a liberarsi; la narrazione che giunge a noi con una immediata piacevole bellezza, esprime tutto il disappunto e l'ironica rassegnazione di chi non sa più come liberarsi di un tale incalzante seccatore.

Il dialogo è un quadretto di vita vissuta, dipinto con colori freschi e brillanti; la figura dell'inopportuno, esisteva allora con tutta la sua sottile invadenza, esiste ancor oggi, a distanza di ben duemila anni, è ipotizzabile che il tempo non la possa eliminare e, inossidabile, sia destinata ad essere sempre di attualità.

La straordinaria satira oraziana narra un evento con ricchezza lessicale e con un susseguirsi di fotogrammi, vivaci, fortemente sentiti emotivamente che trasmettono al lettore emozioni, sentimenti, risentimenti, disappunto, speranze, rossori, mai ira, solo irritazione profonda, ironia.

Le parole, le strategie, tutte inutili, il sudore che al poeta scende dalla testa ai piedi, rendono la narrazione spontanea, quasi visibile, un godibile racconto autobiografico.

Mi sovviene in tal senso quel che scrive Duccio Demetrio, quando sostiene che non si vive di solo presente, il passato è con noi, è “l'antico che c'è e che siamo”*, che ci rende anche diversi uno dall'altro, unici, irripetibili. E' il passato che ci consente di vivere il presente con maggiore accortezza, lungimiranza, apertura che, al bisogno, è di conforto e sollievo e fa d'ostacolo alle sirene che inneggiano al “qui ed ora, al subito e in fretta”.

Ma poiché siamo anche figli di un passato storico più ampio, collettivo, umano, con tante storie che ci legano e accomunano, talune narrazioni minute come questa, facilitano la percezione del continuum, fanno da ponte, ci proiettano con immediatezza lontano nel tempo e consentono di rintracciare inalterate umane virtù, debolezze e vizi, un sentimento di forte fastidio, rimasto inalterato nel tempo, quello che si prova per il seccatore descritto nella satira oraziana.

E' lì che si percepisce il filo di congiunzione più profondo della nostra lunga esistenza umana, le innumerevoli inalterate emozioni, le sensibilità che si associano agli accadimenti, e si ha netta la percezione del continuum.

E' questo che ci rende consapevoli che l'oggi, il presente che intensamente viviamo è soltanto un momento, la storia attuale, che muta e a sua volta diventa passato già da subito.

Un passato recente o lontano che sia è da apprezzare ed amare, perché comunque è parte di noi, da evocare e in taluni casi da fruire come nascondiglio sicuro dove, al bisogno, rifugiarsi, almeno mentalmente, dai presenti affanni.

DIVAGAZIONI EDUCATIVE

In “Educare è narrare”**, Duccio Demetrio, nelle sue sapienti osservazioni sorrette da una prosa, ricca e fluida, sempre di gran livello , sostiene come il narrare e ancor più il raccontarsi, l'autobiografia, siano potenti strumenti educativi.

L'uomo ha sempre lasciato ai posteri verbalmente e poi per iscritto imprese ed eventi importanti, degni di essere, narrati e tramandati, da Omero in poi e con loro sono stati trasmessi sentimenti, emozioni, valori, usi e costumi, conoscenze da trasmettere quali patrimonio di tutti, per non dover ricominciare ogni volta da capo.

Ecco che “Ibam Forte”, il racconto di Orazio assume una valenza, non soltanto semplicemente storica, linguistica ma ancor più educativa, relazionale, ci si immedesima, ne partecipiamo il disappunto e il fastidio, lo immaginiamo l'irritante rompiscatole.

Pensiamo persino a quel petulante signore, del piano di sopra, che non vorremmo mai incontrare, perché altrimenti non ce lo leviamo più di torno e che ci sommerge con le sue infinite chiacchiere.

Educare è narrare, è raccontare una storia, la nostra storia che ha una sua specifica e unica trama fatta di un susseguirsi di eventi, di colpi di scena, di esperienze, negative e positive, che ci ha fatto ciò che siamo già in tenera età. L'educazione si attua in una rete di relazioni di storie personali che si intrecciano in uno spazio, possibilmente senza confondersi, ed è lì che ci si scambiano esperienze, saperi, sentimenti ed emozioni, dolori e piaceri e lì che l'altro, piccolo o grande che sia, diventa importante e degno di stima come possente unità di vissuto, di presente, di progetto.

Con la consapevolezza che, scomodando S. Agostino, il presente ha già in sé sia la memoria del passato che l'aspettativa, l'attesa del futuro.

Ognuno di noi è una storia, un racconto e, per dirla con Duccio Demetrio, le stesse parole che usiamo, come le usiamo, connotano la nostra identità.

Ecco che veramente in educazione ogni parola conta di più del suo stesso significato, lo esalta o lo attenua la personale specifica intimità, il set educativo, il momento.

E' importante che la scuola usi più spesso lo strumento narrativo, sentire le storie, raccontare la propria storia, narrarsi in forma autobiografica è rapportarsi nel silenzio con noi stessi.

Apra la porta alla partecipazione, all'ascolto rispettoso di ciascuno, all'empatia, all'inclusione.

E’ bello iniziare la giornata con un: “Come stai?”

“Raccontaci come ti senti oggi, prova a scriverlo”.

Inizia la tua storia con: “Me ne andavo per caso...”

*Duccio Demetrio, All'antica, una maniera di essere, Cortina Ed., 2022

**Duccio Demetrio, Educare è Narrare, le teorie, la pratica, la cura, Mimesis 2013

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