LA VITA DEL GIOCO

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LA VITA DEL GIOCO

Di

Giuseppe Alesi

Porto nel più profondo dell'anima, come base della mia vita spirituale, i giochi della mia infanzia”*

E' proprio il titolo di un vecchio libretto scritto da Luigi Volpicelli, edito da Armando Armando nel lontano1961; mi è capitato di riprenderlo tra le mani, per caso, come le tante cose che stanno lì da anni e che talora fa piacere toccare nuovamente e in questo caso sfogliare e rileggere.

Luigi Volpicelli è stato un pedagogista di fama, docente universitario, allievo di Giovanni Gentile, un precursore dei tempi, visse a pieno gli anni sessanta, gli inizi della età moderna, ne capì e commentò i segnali, ne parlò nei suoi scritti in stile vivace, anche pungente, sorretto da una profonda cultura.

Di lì a poco il fermento culturale e rivoluzionario del ‘68 travolse tutto e tutti creando i presupposti per un mondo nuovo da molti, al momento, non compreso e criticato, ma che comunque parlava di libertà.

Volpicelli lo visse senza eccessivi crucci, era uomo di cultura, aperto e lungimirante, un vero signore, fu mio Maestro, amante, preoccupato, dell'educazione dei bambini e, ricordando Maria Montessori, attento alle disattenzioni e arroganze dei grandi nei confronti dei più piccoli.

Contrario all'istruzione meramente informativa auspicava, già allora, una scuola aperta a tutti, una formazione etica e spirituale che la stessa riforma Gentile, pur di spessore, nei fatti non aveva saputo garantire.

Il libretto “La vita del gioco” è un inno appassionato alla libertà, al gioco espressione piena della vita creativa dei bambini, un monumento di saggezza.

Si parte da Montaigne che negli “Essais” scrive “Les jeux des enfants ne sont pas jeux” e come già da allora si pensasse comunque al gioco infantile come un mondo tutto da educare e guidare.

L'autore testualmente scrive: “Non sarebbe semplice enumerare i molti e molti documenti della diffidenza con cui l'adulto ha guardato al gioco infantile e dei modi e delle cautele con i quali si è studiato di ritenerlo, visto che non ha potuto mai eliminarlo”.

E successivamente, riportando le osservazioni di una acuta studiosa della vita infantile, tale R Dore:

“Il gioco così come avviene.è ormai piuttosto che la creazione del bambino, una creazione dell'adulto”* .

Straordinaria, a suo dire, la trovata del giocattolo che, se è pur vero che il bambino ha necessità di un partner, un compagno di gioco, l'adulto si è preso la briga di fornire a piene mani strumenti obbligati, per penetrare nella sua attività ed esserne se non il legislatore, almeno il regolatore.

Non meno arguta la tirata sui giocattoli giapponesi, già allora in voga, almeno per chi poteva permetterseli, che “il vero gioco, finita la curiosità, che essi promuovono e per cui finiscono con il diventare materiali di gioco, sia quello di romperli”.

Attraverso il giocattolo si ritiene di aver eliminato o ridotto le angosce, le ansie dei pericoli derivanti da una attività ludica effettivamente libera e meno controllata.

Persino Froebel “il più amabile e mansueto degli educatori”, sostiene argutamente l'autore, si è lasciato andare all'invenzione dei doni, artificiosi doni con dietro finalità educative.

Malgrado l'importanza attribuita al gioco dagli studiosi, nel migliore dei casi viene interpretato e accolto come riposo, pausa ricreativa, sfogo alla naturale esuberanza: “Bambini se fate i bravi, poi vi faccio giocare!”

Comunque si pensi e si creda, esso, il gioco, appare non di rado agli adulti un limite, un vizietto da superare prima possibile, comunque una perdita di tempo.

Scrive Kant: “I ragazzi devono essere avvezzati in tempo alle occupazioni serie......il bambino deve giocare, deve avere delle ore di ricreazione, ma deve imparare anche a lavorare. E' già una non lieve disgrazia per l'uomo di essere così incline all'ozio.”*

L'adulto non ha mai visto di buon occhio il gioco eppure anche lui un tempo ha giocato e dovrebbe ricordare come quello libero, il gioco, senza il controllo vigile, senza l'impegno dei grandi di governarlo e renderlo, a forza, educativo, fosse bellissimo, appagante, intrigante e formativo già di suo.

Ma ormai si è adulti e non si gioca, è sconveniente ed è un vero peccato; come non ricordare le innumerevoli ammonizioni:

“Basta giocare, vai a studiare!”

“La vita non è un gioco, finiscila di giocare!”,

“Caro figlio, basta, stai sempre a giocare !”

Dice Volpicelli: “La moderna pedagogia del gioco è tutta ragionata sotto l'influenza del filone Kant, Hegel, Croce, catafratto all'irruzione vitale del gioco. In quanto dovere e serietà, la vita corre su una strada tutta diversa da quella del gioco e assolutamente contraria”.

Il testo si snoda enunciando copiosamente la posizione di innumerevoli famosi studiosi, orientati per lo più a rendere educativa l'attività ludica, Calò, Croos, Valitutti, e sottolinea chi come lo Schiller ha avuto il merito di scrivere: “C'è un’attività che conserva la vita e c'è un'attività che l'accresce e che perciò è attività creativa. Quest'attività è il gioco...apparizione della libertà e conferma che solo la libertà è veramente creatrice.” *

Il nodo centrale, per l'autore, è quello di rimarcare il valore formativo e spirituale del gioco libero, autonomo, senza sguardi indiscreti e interferenze di sorta, un valore di estremo spessore. Lo affranca così dalle tante oziose speculazioni, dandogli un significato straordinario, dove creatività e fantasia la fanno da padrone e lo spirito si esprime in tutta la sua vitalità.

E' l'esperienza del gioco che segna i primi incontri con la realtà, le prime ansiose scoperte, il primo contatto con noi stessi e il primo rivelarsi consapevole-inconsapevole della nostra umanità.

E' tipico di tutti i cuccioli, il gioco come preparazione e addestramento spontaneo alla vita.

Scrive Tolstoj, ricordando i giochi fatti nelle sue lunghe sere autunnali- invernali russe, “Ad esse debbo i miei migliori pensieri, i migliori moti dell'animo mio”*.

E M. De Unamuno: “Porto nel più profondo dell'anima, come basi della mia vita spirituale, i giochi della mia infanzia”*

Non mi dilungo nel raccontare ulteriormente quanto di bello ci sia scritto sul gioco infantile in questa perla di saggezza. Purtroppo il testo sembra sia ormai introvabile forse è possibile consultarlo in qualche Biblioteca, quella Nazionale lo dovrebbe avere.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Chi come me ha vissuto da giovane le ristrettezze dell'immediato dopo guerra è stato educato, secondo l'etica Kantiana, essenzialmente al dovere e alla responsabilità, alla serietà, all'esercizio della volontà. I piaceri dovevano essere ben pochi, misurati, da procrastinare e talora anche malvisti, comunque considerati fuorvianti, perché con l'eccedere si poteva finire con il prendere tutto alla leggera, come un gioco.

In quella stagione, pur se ormai liberi, le difficoltà erano pesanti e c'era la necessità dell'impegno collettivo, bambini inclusi, per ricostruire un paese dilaniato dalle sofferenze belliche.

Gli studi di psicologia che si sono gradatamente imposti proprio nel dopoguerra hanno sottratto gradualmente sempre di più ampi spazi speculativi alla filosofia, Freud è stato il maestro, è lui che per primo ha osato studiare l'impossibile, ha parlato di inconscio.

Si è messa in luce tutta l'importanza e ricchezza del mondo affettivo, si sono analizzati, con grande entusiasmo, i moti dell'anima, come un tempo si nominavano, i sentimenti, le emozioni, le pulsioni. Tutto quell'ambito che la ragione doveva tenere, per tradizione, illuministica in particolare, sotto stretto controllo, perché sfuggevole, imprevedibile, inaffidabile, animalesco, capace di spingere ad azioni e comportamenti anche disdicevoli.

Anni di ferventi studi quelli della seconda metà del Novecento, che hanno visto la nascita e l'accreditarsi, via, via, nel nostro paese, di numerose teorie psicologiche e quasi in contemporanea della sociologia, strettamente legata alla psicologia, che si interessa della relazione umana, dei comportamenti sociali.

Si è delineata una psicologia della età evolutiva, una straordinaria novità, che disegna, con puntualità, le caratteristiche evolutive dell'uomo, dalla nascita sino all'età adulta. Piaget poi, con la sua teoria sullo sviluppo cognitivo, ha sconvolto le vecchie idee sull'intelligenza e ha dato uno slancio conoscitivo sull'infanzia, rivoluzionario e di enorme valore.

Ormai è a tutti nota l'importanza del gioco, si conosce la funzione preparatoria del gioco simbolico, il suo ruolo anche terapeutico e di alleggerimento. L'attenzione all'infanzia è cresciuta considerevolmente, si ha certezza, per esempio, della importanza per i più piccoli di frequentare asili nido e scuole dell'infanzia e altresì che le operatrici e le maestre della scuola materna, come un tempo si chiamavano, debbano essere più qualificate per un compito ora visto non soltanto meramente assistenziale, come in passato, ma fortemente formativo e addirittura determinante per un regolare sviluppo nella crescita dei bambini.

Nel contempo, nell'arco di pochi decenni, la società sul piano culturale e sociale si è trasformata in maniera radicale, c'è benessere diffuso, i mezzi di trasmissione delle conoscenze una volta unicamente legati alla lettura di libri e giornali e agli studi scolastici effettuati, oggi sono affiancati sempre più prepotentemente dai media. Tutto è a portata di mano, tutti sanno, magari in modo raffazzonato e incompleto, ma sanno e si informano. I personal computer e i telefoni cellulari hanno reso la comunicazione istantanea, le notizie sono immediate, il mondo con Internet è in casa, basta fare un clik. Wikipedia è la nuova enciclopedia Treccani ed è gratis.

E il gioco?

Quello che i bambini un tempo facevano sulla sabbia lasciata qua e là dai cantieri edili e che per ore intratteneva i piccoli nel fare, in ginocchio e con le mani, infinite gallerie rendendo ginocchia e mani irriconoscibili, è archiviato, come sparite sono anche, si faceva appena un po' più grandicelli, la meno nobile caccia alle lucertole, le infinite battaglie con le cerbottane, le pericolose battute di caccia con la fionda e la ricerca dei nidi di uccelli.

Che fine hanno fatto? Sono tutte attività ludiche libere, praticate tra magia e sogno e legate ad un mondo povero, non lontanissimo ma, non più esistente.

Erano altri tempi, appena una settantina di anni fa, a pallone allora si giocava in genere con la palla di stoffa e le ginocchia erano spesso sbucciate anche perché si portavano i pantaloni corti.

Le mamme stavano perlopiù in casa e i rimproveri, e non solo, erano all'ordine del giorno, con l'aggiunta:

“Lo dirò stasera a papà quando torna cosa hai combinato!”

Comunque sia il gioco libero, quello a cui fa riferimento Volpicelli è forse veramente sparito perché legato a quella realtà?

No! Il gioco è insopprimibile!

Oggi si gioca diversamente, forse in modo meno coinvolgente, mancano le corse a perdifiato e la vera libertà, gli strumenti semplici raccattati qua e là, senza pretese, da trasformare a piacimento con la fantasia.

Al momento i bambini, sin da quando sono di pochi mesi, si trastullano con un telefonino che propina loro immagini sonore e in movimento a ritmo continuo e così nessuno frigna, tranne che l'oggetto non sfugga di mano e cade o si spegne perché si è scaricato.

I genitori sono molto impegnati e il tempo da dedicare ai più piccoli è molto poco, i giocattoli più o meno sensati pullulano. Si compra di tutto convinti che si debba fare così, le possibilità economiche in linea di massima lo consentono, spesso si comprano giochi completamente inidonei all'età ma, cosa importa. Lui o lei sono lì circondati da montagne di giocattoli in un angolo della stanza e toccano e lasciano, il tutto sembrerebbe senza alcun senso e appaiono anche annoiati.

Di creatività e fantasia, quella per intenderci che rendeva noi indomiti cavalieri a cavalcioni di una semplice scopa, a mio avviso, neppure l'ombra e cosa dire del trascorrere lunghi periodi di tempo, immobili e passivi, a guardare pupazzi in movimento e musica ritmata?

Il gioco vero, cambiato dalle condizioni diverse di vita, sembra mortificato e svuotato del suo valore essenziale, della sua più intima vitalità creativa.

Proviamo, per quel che i nuovi tempi lo consentano, a riflettere non tanto per riportare in auge lontani strumenti e antiche alchimie, ma semplicemente per pensare se quanto offerto così copiosamente ai piccoli, sia poi migliorabile. Se la vera libertà che sicuramente ha un pizzico di rischio in più, sia ancora da considerare un bene da non togliere ai bambini, se loro hanno ancora il diritto di sperimentare e inventare a piacimento, di imbrattarsi il viso con quello che c'è a portata di mano, di praticare la magia di fare finta che.

Soltanto nel gioco dei ruoli è possibile invertire le parti, ora sono io il dottore che con in mano una finta siringa pungo un malcapitato compagno, e scaricare l'ansia accumulata nella infausta esperienza.

Proviamo a fare un passo indietro e restituiamo ai bambini gli spazi di libertà, riconosciamo le tante ingerenze che facciamo “per il loro bene”, tolleriamo un pochino di più e freniamo le tante ansie. Aumentiamo il tasso di interesse affettivo, la vicinanza, che per i tanti impegni abbiamo ridotto all'essenziale. Ricordiamoci, e non soltanto per risparmiare un po', che uno bel contenitore con dentro di tutto, dai tappi di sughero ai coperchi, dai nastri colorati a.., può essere una fonte di piacevolissimo gioco e se qualche volta l'incauto sguazza con piacere in una bella pozza d'acqua sporcando sé stesso e quanti sono vicini, non è proprio la fine del mondo, perché lui si è divertito da matti.

Tanti si sono interessati del gioco infantile, Froebel fu il primo ad esaltarlo, ritenendolo importante e centrale nello sviluppo, molti gli autori, datati anni 1950/60 quelli menzionati da Volpicelli, altrettanti studiosi da allora, psicologi, neuropsichiatri infantili, ne hanno successivamente magnificato la funzione vitale. Volpicelli ha avuto il pregio, in tempi lontani e non facili per i più piccoli, di aver esaltato quello libero da ogni condizionamento, quale espressione di gioia, di vita interiore, di linguaggio estetico e ha invitato tutti a rispettarlo e a proteggerlo, a lasciarlo liberamente fluire.

*M. De Unamuno, Arabesco pedagogico sobre el juego, A. Aguado, Madrid, 1961

*L. Tolstoj, ricordi d'infanzia.

*E. Kant, La pedagogia, la Nuova Italia, Firenze, 1934

*R. Dore, il bambino e il lavoro in “I problemi della pedagogia” maggio 1958

*L. Volpicelli, il fanciullo segreto, La Scuola, Brescia, 1951

*F. Schiller, Lettere sull'educazione estetica, Sansoni, 1927

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