CORNELIA
CORNELIA
di
Giuseppe Alesi
Dal passato gli spunti per riflettere presente
Credo che ben pochi oggi ricordino Cornelia, matrona romana, la madre dei Gracchi, vissuta nel primo secolo avanti Cristo.
Eppure la sua cultura, la sua rettitudine, il suo austero coraggio, hanno rappresentato un modello ideale di donna presente nella nostra storia anche scolastica, in modo significativo, addirittura sino agli anni 50/ 60.
Di lei è la frase famosa: “Haec ornamenta mea!-Questi sono i miei gioielli!”: i figli, data come orgogliosa risposta ad altra matrona che ostentava importanti monili.
Cornelia era donna libera, di rango, sposata, colta, di carattere, esempio di dedizione alla casa e ai figli.
Nelle scuole italiane veniva spesso citata, oltre ai due noti tribuni della plebe, quando si studiava la storia romana, anche Dante la nomina nella Commedia e la pone tra gli Spiriti Magni.
Il carattere forte, severo e fiero, rintracciabile anche nelle donne, era quello che Polibio, noto storico greco, ammirava nei romani di un tempo e che, a suo dire, avevano fatto grande Roma.
Al momento donne e uomini con tali caratteristiche se ne rintracciano ben pochi, i tempi sono diversi, diverse le persone e diversi sono il contesto economico e sociale, come anche le necessità e inoltre per il passato e per Cornelia c'è in giro ben poco interesse.
Pur se altri fulgidi esempi, come si direbbe, la storia li segnali, vedi, una per tutte, la famosa e bella Luisa di Prussia, colta, animo nobile e fermo, che tenne testa al vittorioso Napoleone e promosse cultura e una scuola per tutti, di mamme con tali attributi sembra che oggi se ne sia estinta proprio la specie.
Forse le ultime, per lo più prive di titoli nobiliari, risalgono ad una o due generazioni fa, le mamme di adulti che oggi sono più che maturi, donne che hanno vissuto la seconda guerra mondiale, che hanno in genere lavorato sodo e di sofferenze ne hanno patite tante, la maggior parte aveva frequentato appena la quinta elementare e il parrucchiere lo aveva visto una volta soltanto, nell'arco della vita, per il matrimonio del figlio ed erano già vecchie a cinquant’anni.
Il passato, depurato dalle cose brutte, che si tendono a dimenticare, appare nei ricordi una perdita fortemente sentita un po' per tutti. Il fatto è che già solo una settantina di anni fa, nel nostro paese, ancora le arretratezze erano tante, le comodità e le possibilità di oggi, in tutti gli ambiti, non erano neppure immaginabili. Nella maggior parte delle case non c'era il bagno, erano diffuse, particolarmente nel centro sud, le ristrettezze e la povertà e così l'ingegno, il sacrificio, le doti personali, la capacità di tollerare, l'arrangiarsi, facevano spesso la differenza.
Comunque sia, tornando a Cornelia, da cui si sono avviate le nostre osservazioni, pochi forse sanno che ella ebbe ben dodici figli di cui raggiunsero l'età adulta unicamente i famosi fratelli Gracchi e la sorella Sempronia.
Una ecatombe e quindi, i sopravvissuti erano visti come i prediletti dagli Dei, i più forti e i migliori. Sacri agli Dei e alla madre che li aveva messi al mondo, erano loro che avrebbero garantito la discendenza e il futuro.
Cornelia fa parte della Roma repubblicana, quella delle origini, quella a cui si appellavano, in ere successive, per la serietà dei costumi, per i comportamenti onorevoli e severi di un tempo, tutti coloro che vedevano, in epoca imperiale, il dilagante malcostume, la disonestà, l'arrivismo, la sfrontata dissoluta opulenza di non pochi.
Anche, Clodia Pulcra, vissuta nel primo secolo AC, donna, chiacchierata e seducente, amata follemente da Catullo, che la chiamava Lesbia e a cui dedicò versi di straordinaria bellezza, era una che contava e non soltanto per i numerosi importanti amanti, ma per la capacità di cogliere e fare affari.
Cicerone stesso che voleva aver casa, come le persone che contavano, sul Palatino e certamente non l'apprezzava per nulla, la cercò perché lei, guarda caso, aveva un possedimento immobiliare, pur se piccolo, proprio sul colle Palatino.
Questo a riprova che anche in epoche successive in Roma le donne, persino quelle dai costumi un tantino licenziosi, che pur di Cornelia avevano ben poco, godevano di molta considerazione.
Comunque sia nell'antica Roma le donne contavano, erano rispettate particolarmente se appartenevano a famiglie importanti, nota è Livia fedele sposa dell'imperatore Augusto, facevano le mogli, le madri, le amanti, e magari anche l'avvocato come Hortensia e ne combinavano di tutte i colori.
La tradizione, sin dalle origini, ha visto le donne come induttrici di peccato e capaci di determinare eventi e situazioni negative con le loro malizie, i loro intrighi e raggiri, il loro irresistibile fascino. Celebre il canto pericoloso delle sirene, metà donne e metà pesci, seduzione e morte, note quelle che insidiarono Ulisse e poi come non ricordare Cleopatra e Messalina per restare nel periodo storico e le streghe nel medioevo, la loro fine spesso drammatica.
Anche Freud, in epoca più recente, tratteggia le donne come potenti, imprevedibili, ostacolo alla libertà, in grado di creare sudditanza e schiavitù, come la Natura ha fatto sin dall'inizio con l'uomo.
Dura e lunga infatti è stata la storia umana, per affrancarsi, dalla dipendenza, dalla caccia e raccolta, per raggiungere una sempre maggiore autonomia, in particolare con l'agricoltura e la pastorizia.
Pur tuttavia ancor oggi madre natura è in grado di esprimere, oltre alla sua inestimabile bellezza, tutta la sua imprevedibile potenza distruttrice.
Si sente spesso dire che l'uomo deve guardarsi bene dall'offenderla con la sua arroganza e supponenza, con le sue non rispettose malefatte.
Madre Natura e Madre come genitore sono un tutt'uno osservava Freud nelle sue iniziali speculazioni, sono tenere, dolci, affascinanti, ma, nel contempo, potenti, distruttrici, possono sottometterti e annientarti.
Da qui la necessità, a suo dire, di liberarsi il prima possibile, di affrancarsi dalla volubilità che contraddistingue la madre, dall'amore che crea dipendenza, facendo proprie, come contrappeso, la razionalità, la determinazione, l'autonomia e la libertà tipiche del padre.
Le due anime, quella femminile e maschile, convivono in ciascuno di noi e dovrebbero essere in armonico equilibrio per essere psicologicamente sani.
In psicanalisi, difatti, si definisce una persona equilibrata quella che è capace di provare emozione nel guardare la bellezza di un tramonto, parte femminile, ma è altresì in grado di immaginare, contemporaneamente, come un ponte, tra le alture, dove il sole sta tramontando, possa facilitare la comunicazione e i commerci, razionalità maschile.
Certo è che una madre può, con la sua eccessiva invasività, non far crescere il proprio figlio, maschio in particolare, rendendolo, se tenuto costantemente sotto tutela, estremamente dipendente, pavido e insicuro e tale, in avvenire, quando si sarà sposato, da manifestare tale carattere anche nei riguardi della propria moglie.
Sono note talune comuni affermazioni: “Sei un mammacchione, un figlio di mamma! Sei cresciuto sotto le gonnelle di mamma!”.
Modi di dire che sottolineano, nel gergo comune, l'incapacità, più o meno rilevante, di prendere decisioni autonome, senza costantemente chiedere il consenso, di allontanarsi dal rasserenante e protettivo calore materno.
E' appena il caso di ricordare che tali affermazioni le fanno in genere le donne nei riguardi di mariti che non brillano per autonomia e che prima di prendere una decisione, telefonano alla mamma.
La questione educativa, quindi, esiste eccome ed investe, sempre nel dire comune, particolarmente i figli unici sui quali più spesso si possono addensare, per eccessivo amore, troppe ingombranti attenzioni.
La paura di perdere il ruolo materno può rende il figlio perennemente figlio e tra i due si instaura talora una solida intesa, un tacito patologico indissolubile legame di dipendenza.
Questi rapporti così forti sono, per altro, ingenerati spesso da fragilità materne, da evidenti tratti di immaturità e incertezza, da profonde convinzioni di inadeguatezza che trovano ampi spazi di espressione, di strapotere, qualora la figura paterna risulti latitante e a sua volta indecisa e incapace di porre, con autorevolezza, limiti e correttivi.
La Cornelia da cui abbiamo preso le mosse non presentava certo questi aspetti di personalità, i figli erano amati, considerati gioielli, ma un temperamento così austero e rigoroso non consentiva, questo era per altro lo stile educativo dell'epoca, mollezze di sorta, i figli dovevano farsi valere, essere tenaci e coraggiosi.
Lei stessa con fermezza tollerò la morte di tutti e due i suoi gioielli, il dolore fu fortissimo ma, sofferto come deve una donna di rango che, con orgoglio, preferiva farsi chiamare la madre dei Gracchi, più che la figlia di Scipione l'Africano.
COMMENTO EDUCATIVO
Potremmo, a questo punto, trarre sul piano educativo alcune considerazioni.
La prima: del padre dei Gracchi si parla poco, eppure non era uno qualunque Tiberio Sempronio Gracco, console e non solo; la scena educativa e storica è dominata dalla figura colta, severa e raffinata della madre Cornelia.
Sembra che lei svolga contemporaneamente il ruolo materno e paterno e questo presumibilmente perché il padre Sempronio era spesso militarmente impegnato, probabilmente stimato e amato, ma assente e poi perché rimasta presto vedova.
Ai nostri giorni fortunatamente, almeno in occidente, non ci sono conflitti e i padri non sono assenti da casa per lunghi periodi se non per quanto richiede il lavoro che svolgono, pur tuttavia, è da qualche tempo noto il loro disimpegno educativo, sono di sovente defilati e il ruolo di autorevole bilanciamento non lo svolgono.
E' da dire che anche le mamme non brillano per centralità, a cinquant’anni sono ancora in piena forma, egocentriche, non di rado, manifestano inadeguatezza e poca consapevolezza sul piano educativo.
Questo stato di cose non garantisce, in non pochi casi, giusti sostegni alla crescita dei figli del nostro tempo che di frequente si autogovernano con affanno, privi di un ragionevole indirizzo, di una garbata ma sicura vicinanza, vivono tra mollezze e tante frivolezze che li rendono molto vulnerabili e che non formano solidi caratteri.
Con i figli, in aggiunta, si parla molto poco e sembra che, in genere, siano soltanto fonte di problemi e preoccupazioni.
Potremmo, imitando coloro che in epoca imperiale richiamavano l'austero rigore dei costumi dell'età repubblicana, fare altrettanto ricordando l'educazione severa di un tempo, ma la ritengo operazione inutile e poco costruttiva, molto diverse erano allora le condizioni sociali ed economiche, il modo di pensare e vivere la vita.
Gli stessi termini mollezze e frivolezze, appena usati, possono oggi sembrare inadeguati, sanno di antico e così presumo sia più opportuno invitare, quanti ne abbiano voglia, ad una pacata riflessione sul nostro momento storico, sul benessere diffuso di cui godiamo, senza demonizzarlo, soltanto così forse potremmo trovare il modo di assumersi responsabilità più congrue e apportare ragionevoli aggiustamenti in ambito educativo.
Converremmo allora facilmente che siano ormai necessari una vicinanza affettiva più qualificata con i giovani, un dialogo più costante, regole generali sostenute con maggiore chiarezza e fermezza, egualmente saremmo concordi nel ritenere necessario qualche no in più e che questo percorso educativo sarebbe bene condividerlo in alleanza con la scuola, perché la trama educativa sia ben solida e stabile.
Il problema è che l'era che viviamo è alquanto confusa, inquieta, il filosofo Floridi* parla di pantano salmastro, si nota un notevole disorientamento che è connesso ad un disimpegno educativo spesso condito da consistente egoismo e da un'ampia presuntuosa ignoranza che fa dire a chicchessia, con convinzione, qualunque cosa e anche con decisa arroganza e supponenza; l'umiltà, il senso del limite, il dubbio, il silenzio, il tacere, sono spesso disconosciuti.
Come possono adulti disorientati, in genere poco inclini loro stessi al rigore, a trasmettere alle nuove generazioni, impegno, correttezza, senso del dovere e innanzitutto del limite?
Si può fare soltanto prendendone coscienza, provando a ragionarci su, assumendosi, sia come genitori, sia come docenti, le responsabilità che abbiamo nei riguardi di tutti coloro che verranno dopo di noi, accantonando giudizi affrettati e luoghi comuni.
Si può fare dedicandoci tempo, cogliendo le innumerevoli opportunità conoscitive date, a piene mani, dai media ma approfondendo i temi, senza limitarsi a quanto di spicciolo offre la rete.
E infine potremmo farlo anche prendendo spunto dal modesto contributo che il presente scritto pretende di offrire ricordando Cornelia, la madre dei Gracchi.
*Floridi Luciano, Pensare l'infosfera, Raffaello Cortina, 2020